giovedì 21 marzo 2013

Fra i campi di Sant'Angelo (Treviso) alla scoperta di un cippo di confine dell'800

Sul confine fra il comune di Treviso (località S. Angelo Basso) e quello di Preganziol (località Settecomuni) esiste un cippo di chiara fattura ottocentesca, posizionato quasi sicuramente dopo il 1866 quando - con l'annessione del Veneto all'Italia - cessò le sue funzioni il comune rurale autonomo di Canizzano con S. Angelo, attivo fra il 1806 e il 1813 (Regno Italico, periodo napoleonico) e durante il Regno Lombardo Veneto fra il 1816 e 1866 *.
Il cippo, di fatto, è ormai illeggibile (confrontare le foto del 1985 e del 2012), ma il luogo in cui è inserito merita una visita.

S. Angelo in una mappa ad uso interno
del Comune di Treviso successiva al 1923 (rilevamento IGM)
e precedente al 1938 quando venne ufficialmente inaugurato da 
Mussolini - il 21 settembre - l'aeroporto militare di Canizzano.
La posizione del cippo di confine è in basso a sinistra
Mappa di Google (le riprese da satellite sono del 2012)
con le stradine e il paesaggio agrario nei pressi del cippo.
L'accesso alla parte finale, non asfaltata, della vecchia via Paludi
che dopo poche decine di metri - di fronte al cippo - termina
il suo percorso iniziato dalla Strada di Canizzano.
Nota. 
Non badare al cartello di divieto d'accesso "escluso i residenti":
è stato messo di recente, da mano privata.
(Non vi è citata alcuna ordinanza comunale)
Il cippo ottocentesco di confine al termine di via Paludi
(Sant'Angelo Basso-Treviso / Settecomuni - Preganziol)
Il lato visibile (e illeggibile) del cippo. (Aprile 2012)
Il cippo fra S.Angelo di Treviso e Settecomuni di Preganziol
come si presentava nell'aprile 1985.
Da questo lato si poteva leggere, con un po' di fatica:
"Treviso / confine comunale /
Strada di Canizzano /  Chi.tri 6,50"
 (6 ,5 km sono la distanza di questo punto dal centro di Treviso)

Per meglio conoscere il contesto in cui è inserito, guarda il video su You Tube

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* Vedi C. Pavan, Di acuto fiero morbo. Trenta lapidi del cimitero di Sant'Angelo sul Sile (coperte di rose), pag. 16,  nota 23.
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PS
Analogo cippo di marmo, con scritte colorate in rosso, è stato presente fino a una trentina d'anni fa
al confine fra San Vitale di Canizzano e Sambughè di Preganziol (fine strada Sambughè - comune di Treviso (lato sud) / inizio strada Munara - comune di Preganziol). E' stato utilizzato nella costruzione di un passo carraio che porta nell'adiacente campagna. (Testimonianza di Albino Benetton, Preganziol 1935, mio archivio, file 15062303, 09:50).
Ah, la passione per la storia e la "identità veneta", 
così forte in queste zone, baluardo della Lega & C.!

Marina Rossi, 2002 - Recensione "I prigionieri italiani dopo Caporetto"


Un libro di Camillo Pavan spiega il dopo Caporetto

Il viaggio dei prigionieri italiani nel nascente mondo dei lager

Marina Rossi, Il Piccolo -Trieste
19 giugno 2002
Camillo Pavan, singolare figura di editore ricco di interessi culturali, con una particolare predisposizione per la ricerca storica, già autore del corposo libro «Grande guerra e popolazione civile, volume 1 Caporetto », realizzato insieme a qualificati studiosi sloveni, ha voluto questa volta addentrarsi in un capitolo inedito riguardante il vasto e doloroso tema della prigionia dei militari italiani caduti in mano austriaca, nell'autunno del '17, dopo la rotta di Caporetto «Prigionieri italiani dopo Caporetto» (Pavan editore).
Avvalendosi di una ricca documentazione cartacea e visiva, proveniente da archivi pubblici e privati italiani, austriaci e sloveni, (tra cui il Kriegsarchiv di Vienna, il museo centrale del Risorgimento di Roma, la fototeca del museo di storia contemporanea di Lubiana, dei musei provinciali di Gorizia, della sezione fotocinematografica del comando supremo  e dell'archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano), l'autore si sofferma ad analizzare i destini dei vinti di Caporetto, dal momento della cattura, all'internamento nei campi allestiti in Friuli, durante le marce estenuanti o nei lunghi viaggi compiuti in treno verso i lager dell'Austria e della Germania. 
Udine, Codroipo, Cividale, Villasantina, la Val di Resia, i bacini dell'Isonzo e della Sava, i territori mistilingui abitati da italiani e sloveni, divenuti, un anno dopo, aree di confine tra il regno d'Italia e il nuovo stato Jugoslavo, segnarono le tappe di tragedie e sofferenze che confermano le tesi enunciate da Giovanna Procacci  nel suo volume dedicato ai prigionieri dell'esercito italiano, anche in territori così vicini a noi, soprattutto per quanto riguarda l'atteggiamento punitivo assunto dal comando supremo verso i militari italiani arresisi al nemico. 
Dal Pavan apprendiamo che il campo di concentramento di Cividale, già utilizzato dal regio esercito italiano per rinchiudere gli austriaci  diviene, agli inizi di novembre del 1917, luogo di tormenti per gli italiani, colpiti addirittura dall'aviazione del loro stesso esercito. «Un rumore assordante, vetri infranti, la baracca si scuote, il tempo appena di fuggire e una seconda bomba la manda in aria in un rovinio di legno e di schegge. Che strazio vedersi colpiti dai propri fratelli! E il fante pensava: "Che i fratelli vengano a punirci perché siamo prigionieri?"».
Nel Friuli rioccupato dagli austro-germanici i militari italiani laceri e affamati devono far i conti con l'ostilità della popolazione civile, poco prodiga di aiuti, sia perché a sua volta logorata e ridotta a una vita di stenti a causa della guerra, sia perché più propensa a sostenere le ragioni dell'Austria o comunque non necessariamente disposta a appoggiare la causa italiana.
Alla fine del lungo viaggo, per quei trecentomila prigionieri si sarebbero spalancate le porte dei campi di concentramento degli imperi centrali.
Le foto inedite di corpi ischeletriti dalla fame, confermano nella particolare prospettiva della ricerca del Pavan, un altro dato interpretativo ormai recepito da molti storici, che individua proprio nei campi di prigionia della grande guerra, la   prima guerra di massa nella storia dell'umanità,  l'avvio di quel sistema concentrazionario, applicato poi su vasta scala dal nazismo.
Marina Rossi
Il Piccolo, Trieste - Mercoledì 19 giugno 2002


Prof.ssa Marina Rossi, 2002


martedì 12 marzo 2013

Canottieri Sile, la vecchia pioppa (che non c'è più)

In questi giorni mi sono messo di buona lena a digitalizzare le mie foto d’antan. 
E che vedo? Che la quasi secolare pioppa in riva al Sile, vanto della Canottieri dal 1911, nel 2001 era morente, forse a causa di un'incauta potatura di tre anni prima. 
Da quell'anno, per vari motivi, non avevo più seguito le vicende del vecchio albero trevigiano.
Sono andato a controllare il suo stato di salute; in effetti la pioppa non c'è più.
Ci sono cose molto più importanti al mondo, ma un pochino me ne dispiace...


I pioppi (Populus nigra / pioppe, alla veneta) 
della Canottieri Sile di Treviso. (Foto 11.12.1988).
Quella in primo piano risaliva al 1911
e, novant'anni più tardi, è morta.